Tranquilli cari amici che mi state leggendo (2 o 3 coraggiosi e leali lettori)
CCD non sta per la sigla di un nuovo ed inutile partito politico (non che gli altri siano utili …) bensì è l’acronimo anglosassone di una sindrome canina legata al processo di invecchiamento dell’animale che in umana ha come corrispettivo il morbo di Alzheimer.
Trattasi di cambiamenti patologici che interessano il cervello che vanno a modificare in peggio le capacità cognitive, l’emotività e aspetti legati alla deambulazione e propriocettività del cane.
Un graduale peggioramento delle modalità di pensiero, apprendimento, orientamento portano nella peggiore delle ipotesi ad avere cani che soffrono di anedonia ( perdita di stimolo e piacere nel fare le cose ) e di incapacità di orientarsi anche in contesti famigliari.
Non sembra essere presente una cura specifica, anche se un farmaco chiamato SELEGILINA sembra avere effetti positivi per quanto concerne un miglioramento della vita del cane allo stato senile.
Come prevenzione è bene fornire al cane una dieta ricca di antiossidanti ( vit. C e vit.E per esempio e i grassi Omega ) rendendo piacevole la sua giornata con moderate passeggiate ma frequenti e sessioni di gioco brevi ma stimolanti.
Ricordiamoci che il cane è un eterno infante e per lui il gioco è una attività essenziale per l’attivazione motoria e cerebrale.
di seguito riporto uno studio condotto nello specifico per cercare di comprendere meglio questa patologia che ha lo stesso Acronimo di un partito politico italiano e sebbene non lo sia riporta simili nefaste conseguenze a coloro che l’incontrano sul loro cammino
 …buona lettura
max vismara

 

Disfunzione Cognitiva del Cane

V.Bianchini – G.di Nunzio
www.nsgs.it  (National Sanitary Gathering of Studies)

Introduzione

La speranza di vita dei carnivori domestici è aumentata significativamente, soprattutto in questi ultimi anni, grazie ai progressi realizzati dalla medicina veterinaria, al miglioramento della situazione igienica e, soprattutto, ad una alimentazione più attenta alle esigenze del paziente anziano.
Il cane viene considerato vecchio quando arriva al 70-80% della durata della vita. Nel 1991 una studio effettauto dall’AVMA (American Veterinari Medical Association) ha valutato che la percentuale di cani con età superiore ai 6 anni è circa il 47% della popolazione canina. Di conseguenza, accanto a patologie prevedibili, comparse con l’invecchiamento del cane (insufficienza cardiaca e renale, artrosi o certe affezioni neoplastiche), vi sono incrementi molto significativi delle cosiddette “Turbe da comportamento”. Come accade per gli anziani della specie umana può non essere facile stabile il confine tra una manifestazione fisiologica ed una patologica. E’ chiaro che la vecchiaia porta ad un rallentamento delle attività psico-motorie (indifferenza agli stimoli esterni e/o scarso adattamento alle nuove situazioni) ma questo tuttavia non deve comportare né alla perdita dei comportamenti acquisiti (zone dove generalmente il cane dorme o effettua i proprio bisogni).
Circa il 70% delle forme di demenza progressiva nel cane adulto è causato da questa sindrome molto simile al morbo di alzheimer dell’uomo. Si manifesta inizialmente con amnesie e perdita di comportamenti abituali (disorientamento, pica, non risponde al suo nome e spesso non riconosce persone familiari). La demenza viene definita come un declino progressivo delle facoltà mentali rispetto ad un livello precedente. Sebbene generalmente siano predominanti gli effetti sulla memoria (soprattutto la memoria recente), tutte le funzioni corticali possono essere coinvolte, risultandone: disorientamento e incoordinazione.
Il deterioramento cerebrale che ne deriva è inizialmente modesto, clinicamente non manifesto e spesso compensato. Col procedere dell’età, tale processo tende gradualmente a corredarsi di segni clinici.
E’ possibile che alcune di queste manifestazioni rimangano nei limiti fisiologici e non siano, quindi, incompatibili con una normale vita del cane. Alte volte, però, può accadere che la progressiva degenerazione delle strutture nervose porti ad una alterazione della sfera umorale e cognitiva con gravi ripercussioni sociali.
Questa “omissione” dei primi segni clinici (cognitivi, comportamentali ed emozionali) legati all’invecchiamento si rivela piuttosto grave; tali disturbi, infatti, essendo progressivi per natura, vanno inevitabilmente incontro ad un crescendo sintomatologico, sempre più difficilmente controllabile da un punto di vista terapeutico, e talmente “pesante” sia per l’animale che per il proprietario, da indurre spesso a considerare l’eutanasia.

La scuola dei comportamentalisti Europei (apparrtenti alla ESVCE – European Society of Veterinary Clinical Ethology) identifica 3 principali categorie di disturbi legati all’invecchiamento cerebrale: quelli che interessano i comportamenti sociali, che si identificano essenzialmente nell’iperaggressività del cane anziano; quelli prettamente cognitivi, corrispondenti alla sindrome confusionale del cane anziano; quelli timici, comprendenti la depressione da involuzione e la distimia, nella cui patogenesi entrano in gioco, oltre all’invecchiamento cerebrale, anche lesioni intracraniche e disendocrinie.
Dal punto di cista strettamente anatomico con l’invecchiamento si riscontrano spesso in un cane con sindrome da disfunzione cognitiva un certo ispessimento delle meningi, dilatazione dei ventricoli, gliosi, placche diffuse), e neurochimiche (apoptosi neuronale, deposizione di lipofuscina e di proteina beta-amiloide,aumento di stress ossidativo).
In particolare, è l’accumulo di proteina beta-amiloide ad essere direttamente connesso alle manifestazioni cliniche dei disordini cognitivo-comportamentali dell’anziano. È noto da tempo che nei cani e nei gatti anziani si verifica un deposito di proteina beta-amiloide nell’ippocampo e nella corteccia frontale (due aree particolarmente coinvolte nei comportamenti cognitivi). Le più moderne evidenze mettono altresì in luce l’esistenza di un link diretto tra disturbi cognitivi dell’animale anziano e danni cerebrali di natura ossidativa,.
Un ruolo patogenetico importante viene, inoltre, attribuito a specifiche alterazioni neurotrasmettitoriali che si manifestano durante l’invecchiamento cerebrale del cane: calo delle catecolamine, dopamina in particolare; riduzione dei livelli di acetilcolina, minore densità dei recettori muscarinici.
Nei cani anziani si è, inoltre, dimostrato un calo dei recettori NMDA per il glutammato, che interessa prevalentemente le aree della corteccia e dell’ippocampo.
Ricerche d’avanguardia hanno anche messo in luce sensibili riduzioni quantitative a carico di fattori neuronotrofici (es. BDNF, NGF). Nell’insieme, i cambiamenti comportamentali e neuropatologici osservati nel cane anziano sono così simili a quelli dei pazienti umani con demenza, tanto che numerosi Autori identificano nell’invecchiamento cerebrale del cane un utile modello naturale per lo studio della demenza umana. Da qui la similitudine con il morbo di Alzheimer.

Placche diffuse di beta-amiloide (ippocampo, corteccia) sono presenti non solo nelle placche, ma anche intorno ai vasi ed in associazione con le membrane plasmatiche. Si tratterebbe di depositi sono simili alle primissime placche che si depositano nel cervello di pazienti affetti da mordo di Alzheimer.
Il potenziale neurodistruttivo delle placche di beta amiloide sarebbe da ricondursi alla loro capacità di generare ROS come il perossido di idrogeno


Principali alterazioni del sistema nervoso legate all’invecchiamento del cane

Il Sistema Nervoso necessita che gli elettroliti ematici, il glucosio, l’ossigeno, la temperatura, il pH, l’osmolarità, la pressione e diversi altri parametri siano mantenuti entro limiti stretti.
Soltanto l’ossigeno, l’anidride carbonica e il glucosio attraversano rapidamente la barriera emato-encefalica. Il metabolismo ossidativo del glucosio provvede alla maggior parte delle richieste energetiche del cervello. L’ apporto sia di ossigeno che di glucosio al cervello è in relazione al flusso ematico cerebrale. Ricerche che sperimentali hanno permesso di misurare il consumo di glucosio in differenti settori del cervello hanno evidenziato una netta diminuzione di questo metabolismo nei sistemi visivo, uditivo,limbico ed extrapiramidale. Il che potrebbe giustificare alcuni deficit comportamentali dei cani anziani.
Con la senescenza la perfusione ematica tende a diminuire (in contrasto con una aumentato della presione sistemica) con relativa riduzione della concentrazione di O2 e glucosio a livello cerebrale. In un cane anziano la minore irrorazione ematica al cervello non sempre è compensata adeguatamente dai meccanismi fisiologici “Autoregolazione della presione”. Infatti, in un animale giovane il flusso ematico cerebrale si mantiene ad un livello relativamente costante (a una pressione arteriosa media compresa tra 50-160 mm/Hg), grazie ad una adeguata costrizione e dilatazione dei vasi cerebrali, anche quando la pressione intracranica è elevata perché questo induce un aumento della pressione arteriosa media (Risposta di Cushing).
Abbiamo visto però che in un cane anziano il flusso ematico cerebrale può subire una alterazione per motivi dipendenti da :

  • Ipossia
  • Anemia
  • Ridotta Gittata Cardiaca
  • Ipoglicemia e tumori pancreatici
  • Aumento di pressione del liquido cefalo rachidiano
  • Vagotonia
  • Disordii metabolici
  • Ipertensione renale
  • Alterazione della permeabilità delle membrane citoplasmatiche
Il primo tipo di alterazione prodotta dal processo di senescenza riguarda le membrane cellulari e, in modo particolare, quelle dei neuroni.
Infatti, si assiste ad una progressiva diminuzione della fluidità all’interno delle membrane cellulari, il che modica il trasporto da e per la cellula, le varie attività enzimatiche cellulari, le relazioni intercellulari e la capacità di mobilizzazione dei recettori di membrana.
E’ evidente, quindi, che un corretto apporto alimentare ma, soprattutto, l’integrazione di acidi grassi essenziali può comportare un miglioramento dello stato clinico del paziente.
Infatti, un apporto dietetico di omega 6 ed omega 3 (in rapporto 5:1) garantisce un miglioramento della fisiologia di membrana con evidenti miglioramenti dell’osmosi e della permeabilità delle membrane cellulari.
Di notevole importanza è poi l’azione vasodilatativa che permette una generale riduzione sistemica della pressione e , soprattutto, una maggiore perfusione renale per la presenza di Eicosanoidi vasoattivi che riduco la pressione intraglomerurale.